sommario
All’interno dell’Operazione Patronus – racconti dal basso e della rubrica sulla storia, dopo la pagina sulla Fonte Lancisiana al Porto Leonino, un capitolo dedicato alle piene del Tevere.
“Forza, dico essere una virtù spirituale, una potenzia invisibile la quale per accidentale esterna violenza è causata dal moto e collocata e infusa nei corpi, i quali sono dal loro naturale uso retratti e piegati, dando a quelli vita attiva di meravigliosa potentia; costringe tutte le create cose a mutazione di forma e di sito; corre con furia alla sua desiderata morte, e vassi diversificando mediante le cagioni. Tardità la fa grande e prestezza la fa debole; nasce per violenza e muore per libertà e quanto è maggiore più presto si consuma. Scaccia con furia ciò che si oppone a sua disfazione, desidera vincere, occidere la sua cagione il suo contrasto e, vincendo, se stessa occide; fassi più potente dove trova maggior contrasto. Ogni cosa volentieri fugge sua morte; essendo costretta, ogni cosa costringe. Nessuna cosa sanza lei si muove e nessun moto fatto da lei fia durabile; e spesso genera mediante il moto nuova forza.” Leonardo da Vinci
Dai Romani all’unità d’Italia
Testo estratto dalla pagina della Autorità di Distretto dell’Appennino Centrale
Persino Caio Giulio Cesare, il più grande stratega di tutti i tempi, non riuscì mai a sconfiggere e a domare il Tevere, e anche lui fallì nell’impresa di un lungimirante piano di difesa della Capitale dell’Imperium, liquidato dai suoi architetti come “troppo costoso” e, come i predecessori e gli imperatori successivi, preferì affidarsi al dio Tiberino e alla dea Fortuna. […] L’urban sprawl esponeva la città alle piene come quelle del 32, 23, 22 e 13 a.C., quando la valle del Tevere tornava a riempirsi d’acqua, e i morti si contavano a migliaia. […]
(Romolo, Remo, il Tevere e la Lupa – Elena Prette)
Questa condizione, convinse Augusto a istituire la prima Magistratura del Tevere, il curator alvei Tiberis et riparum et cloacarum, con specifiche competenze nella manutenzione dell’alveo, nella pulizia delle rive, nella tenuta degli argini. […] Ancora nel 15 d.C., sotto Tiberio, rifecero i conti con la piena descritta da Tacito negli Annales come: “…un’improvvisa inondazione del Tevere, che con uno smisurato ingrossamento, abbattuto il Ponte Sublicio, allagò non solo le parti basse e piane della città, ma anche quelle sicure contro sciagure di tal genere; molti furono trascinati fuori dalla pubblica via, parecchi furono sorpresi nelle osterie e nelle camere da letto. Fra il popolo dilagò la fame, la povertà e la carestia. Le fondamenta dei caseggiati furono danneggiate dalle acque stagnanti”. […]
Roma continuava ad allagarsi, e nemmeno i papi erano mai riusciti a far partire progetti e piani che pure pervenivano in Vaticano firmati da illustri sapienti che prevedevano di deviare e fermare a monte della città le acque di piena. Sui muri della Roma antica basta alzare lo sguardo per scoprire 90 lapidi e manine incastonate sulle facciate di chiese e palazzi storici. Raccontano terribili piene che superavano all’idrometro di Ripetta anche i 16 metri sopra lo zero idrometrico. […]
(la traccia di una piena, in via del Banco di S.Spirito)
Nel tremendo 28 dicembre 1870 Il fiume ruppe i troppo fragili argini dopo giorni di nubifragi e dilagò con violenza nei rioni popolari. Raggiunse l’impressionante altezza di 18,45 metri. […]
(la mappa dell’inondazione del 1870, da Ville Technique)
La nuova Capitale dell’Italia offriva al mondo una pessima immagine di sé. Nessuno, nemmeno la potenza della Chiesa, era riuscito a sottrarla alla condanna degli allagamenti o quantomeno a ridurne gli effetti.
(la piena a Ripa Grande nel 1915, da Romaierieoggi)
“Acqua che ha fatto sera che adesso si ritira
Bassa sfila tra la gente come un innocente che non c’entra niente
Fredda come un dolore
Dolcenera senza cuore” (Fabrizio De Andrè)
I muraglioni
Scese in campo il Generale e deputato Giuseppe Garibaldi. Nelle tragiche ore della grande alluvione del 1870, giurò di tornare in battaglia “con feroce passione” e, davanti al Governo del re guidato da Giovanni Lanza, prese un impegno solenne, come davanti ai romani alluvionati. Annunciò che avrebbe fatto aprire i cantieri per rendere il fiume più sicuro. […]
(il Tevere sotto all’Aventino, prima dei muraglioni, da Romaierieoggi)
Sul loro tavolo giunsero diversi piani, tra cui il progetto firmato da Garibaldi e elaborato con alcuni ingegneri garibaldini che con una spesa di 60 milioni prevedeva lo scavo di un canale diversivo di 17 chilometri e largo 60 metri che avrebbe deviato il Tevere dall’alveo naturale aggirando la Capitale da Est, più o meno all’altezza di Serpentara, sulla via Salaria, riprendendo il vecchio corso oltre San Paolo. Dopo quasi un anno di verifiche e approfondimenti, il 7 dicembre 1871 i Commissari approvarono invece il progetto, altrettanto colossale, degli ingegneri Raffaele Canevari e Angelo Vescovali, per la “Sistemazione del tronco urbano del Tevere con sponde murate e Lungotevere e fognoni per gli scoli della città”.
(Studi per la sistemazione del Tevere)
Sono gli alti muraglioni di travertino che vediamo oggi, abbastanza alti da riuscire a contenere la piena fino ad allora considerata più imponente, quella del 28 dicembre 1870. Era la canalizzazione del corso urbano del fiume con la costruzione sulle due sponde di 18 chilometri di muraglioni alti 15 metri, dei nuovi lungotevere, di 31,7 chilometri di arginature di cui 16.5 in sponda destra e 15.2 in sponda sinistra, e 14 chilometri di altri argini.
Una volta approvato il progetto, però, passarono giorni, mesi e anni, e il governo continuava a ritardare il finanziamento. Garibaldi perse la pazienza, e il 26 maggio 1875, narrano le cronache parlamentari, con tono di voce “di natura leonina”, nel silenzio generale dell’Aula “prorompendo con quell’ardore e con quella vigorosa forza impulsiva con la quale guidò le schiere dei liberatori della Patria in tante gloriose pugne”, chiarì a tutti che la salvezza di Roma sarebbe stata “fino alla fine l’ideale di tutta la mia vita”.
(pescatori sul Tevere, da Romaierieoggi)
E quasi gridando in faccia ai ministri e ai colleghi, disse: “Signori! La città di Roma, la capitale d’Italia, la sede del Governo e del Parlamento d’una giovane nazione che seppe conquistare in pochi anni la sua unità, ogni anno è funestata dalle inondazioni del Tevere che corrompono l’aria e rendono il clima insalubre per una parte dell’anno. Quando poi arrivano le piene straordinarie due terzi della città rimane allagata. Il danno fisico ove non fosse rimosso, sarebbe ben presto un danno alla vita politica del paese tutto. Il Governo si è preoccupato di questa grave questione, e una Commissione da esso nominata ne fece oggetto dei suoi studi; ma nessuna conclusione pratica venne finora adottata. È singolare, o signori […] vedere un fiume che scorre sregolato, senza difesa alle sue sponde, lasciando interamente in balìa delle sue acque perfino una grande città, capitale dello Stato […] la sistemazione del Tevere si è presentata al mio pensiero come una necessità urgente”. [….]
Il cantiere del Tevere fu aperto il 3 dicembre 1876, e durò la bellezza di circa mezzo secolo per concludere la quasi totalità delle opere nel 1926, con l’ultimo tratto in destra finito nel 1948.
(la costruzione dei muraglioni, da Romaierieoggi)
I muraglioni dotarono la città di solide difese strutturali. Sparì per sempre però una parte di Roma, con tutta la sua atmosfera. Gli alti argini imbrigliarono il Tevere da Ponte Milvio a San Paolo, demolendo tutto ciò che era stato edificato sul tracciato, e modificando radicalmente il rapporto tra la città e le sue acque. L’opera avanzò a costo di chilometri di demolizioni lineari di edifici e strutture a ridosso del fiume, compresi gli antichi scali di Ripetta e di Ripa Grande, teatri storici come l’Apollo, la Loggia della Farnesina, ville e giardini, porzioni di quartieri medievali, piazzette e vie da dove migliaia di famiglie furono sradicate ed espulse verso le nuove borgate di periferia.
(barche nei pressi del porto di Ripetta, da Romaierieoggi)
L’alveo fu rimodellato e uniformato al percorso del massiccio lungo muro, fu dato al letto un’ampiezza di circa 100 metri, rettificando parte del corso e creando curve più morbide sotto i nuovi lungotevere. Intervennero anche sui ponti. [….]
(Affaccio da Ponte dell’Angelo, dalla collezione Regina Animata)
Le alluvioni nel 1929 e nel 1934 dimostrarono la tenuta dei nuovi argini del Tevere. L’allarme risuonò più forte il 17 dicembre 1937, quando il fiume raggiunse i 16,90 metri. L’acqua dilagò da Ponte Milvio alla via Portuense alla Magliana invadendo il centro storico, anche se i muri di sponda contennero gran parte della portata. Tutta la campagna circostante si trasformò in un immenso lago, dove per giorni si andava soltanto in barca, come racconta il Cinegiornale Luce. […]
La storia continua
Nel ventesimo secolo sono state 28 le piene eccezionali, di cui tre straordinarie. Tutte provocarono danni. La piena del 2 dicembre 1900 resta la più imponente del secolo, con portata di 3.300 metri cubi al secondo e altezza di 16,17 metri. Non sommerse la città storica, dove provocò allagamenti attraverso rigurgiti di fogne, ma l’intera valle tiberina da San Paolo al mare, che allora era tutta campagna, compresa la tenuta di Maccarese. […]
Con decreto del Ministero dei Lavori pubblici datato 28 febbraio 1938, il regime fascista nominò una commissione di tecnici. Questi prospettarono la realizzazione del drizzagno di Spinaceto, il canale idraulico che accorciò il percorso del fiume a valle, accelerando il deflusso e accorciando il fiume di 2.700 metri. […]
Ma Roma resta in balia della complessa idrologia che confluisce nel Tevere: ben 42 corsi d’acqua, e di questi 20 fiumi e torrenti come il Chiascio, il Nestore, il Nera, il Paglia e l’Aniene, ognuno dei quali riceve altri affluenti. […] Sono 235 i chilometri sui 405 dell’intero Tevere a rischio allagamento, compreso l’attraversamento di Roma per 52 km.
Per la propria difesa, la Capitale fa oggi affidamento su sbarramenti con bacini e traverse costruite per scopi idroelettrici: a Castel Giubileo nel 1952, a Nazzano nel 1956, a Ponte Felice nel 1961, a Corbara nel 1962, ad Alviano nel 1964 e a Montedoglio nel 1992.
(la Diga di Corbara, dalla collezione fotosferica Mappatevere360 )
Non bastano. A Roma è tornata più volte la paura delle piene. Se tra le recenti quella del 7 dicembre 2005 ha avuto una portata di 1400 metri cubi al secondo e un livello idrometrico di 11,4 metri, problemi più seri si sono avuti l’11 dicembre 2008 quando la violenza del Tevere ha strappato dagli ormeggi alcuni barconi e una motonave galleggiante ancorati alla meglio e, dopo averli sballottati, li ha incastrati sotto Ponte Sant’Angelo in un groviglio di legni e lamiere. Il possibile allagamento di Roma venne scongiurato solo grazie a una ardita e complessa operazione di Protezione Civile, che riuscì al fotofinish a liberare le arcate, ma erano pronti a far saltare parte del ponte storico. […]
Il sistema idraulico dei muraglioni difende il centro storico ma non ha risolto il “nodo” di Ponte Milvio, da sempre la strettoia-ostacolo al deflusso che permette il passaggio fino a portate estreme sotto i 2500 metri cubi al secondo, oltre i quali il Tevere può saltare gli argini e irrompere a destra (allagando Tor di Quinto, Farnesina, Foro Italico, Prati, San Pietro e Trastevere) e a sinistra (il quartiere Flaminio, piazza Mazzini, piazza del Popolo, Pantheon, via del Corso, Ripetta e Piazza Venezia, allagando Largo Argentina e il centro antico). La simulazione e la modellistica dell’Autorità di Distretto mostrano allagamenti e aree sommerse da nord a Castel Giubileo e a Ponte Milvio fino a Ostia e Fiumicino. […]
(mappa di pericolosità p86 Ponte Milvio-Villaggio Olimpico, pubblicate dalla ADBAC)
Le cartografie aggiornate dell’Autorità mostrano chiaramente un elevato livello di rischio, dovuto non solo alla naturale conformazione idrografica ma anche alla scomparsa di oltre la metà del fitto reticolo idraulico, circa 700 chilometri di idrovie urbane preziosissime per lo scolo dell’acqua di pioggia o di possibili piccole esondazioni tra fossati e canali a cielo aperto. Motivo: negli ultimi decenni sono state progressivamente tombate non solo dal cemento, ma da sversamenti di rifiuti di ogni tipo e da vegetazione spontanea cresciuta senza alcuna manutenzione. Queste idrovie non svolgono più le funzioni idrauliche indispensabili, e dovrebbero essere ripristinate e gestite con interventi di manutenzione costanti e ordinaria, mettendo in pista i Consorzi di Bonifica con nuovi ruoli e compiti. […]
(la vecchia foce dell’Almone, terzo fiume di Roma, dalla collezione fotosferica Mappatevere360 )
Extra
Romani e Tevere
> Fin dalle origini della città, il dialogo appassionato con il fiume ha offerto ai romani un multiforme teatro di commerci e svaghi, ozi e professioni. Il lento macinare dei mulini, il continuo viavai delle merci, gli schiamazzi dei bagnanti, lo scorrere operoso dei battelli, animavano lo specchio tiberino da mattina a sera, suggellando la relazione tra pietra e acqua, vicoli e ripe, uomini e riflessi. segue...
Barcaccia a Trinità de’ Monti
La fontana della Barcaccia a trinità de’Monti “potrebbe essere stata ispirata dalla presenza sulla piazza di una barca in secca, portata fin lì dalla piena del Tevere del 1598 (nel cui ricordo il papa potrebbe aver commissionato l’opera). Si è anche avanzata l’ipotesi che quel luogo fosse anticamente utilizzato come piccola naumachia. In entrambi i casi il nome «barcaccia» richiama una vecchia imbarcazione prossima all’affondamento. Più verosimilmente, era chiamata «barcaccia» quel tipo di imbarcazione che, nell’antica Roma, veniva usata per il trasporto fluviale di botti di vino, e che, molto simile all’opera berniniana, aveva appunto le fiancate particolarmente basse per facilitare l’imbarco e lo sbarco delle botti stesse.” (da Wikipedia)
(Audrey Hepburn alla Barcaccia nel 1952, durante le riprese di “Vacanze romane”)
Diga di Corbara
La diga di Corbara, è una struttura imponente che sbarra il corso del fiume Tevere a circa tre chilometri dalla confluenza del fiume Paglia. segue…
Risalita contr’acqua da Fiumicino a Ripa Grande
Nel primo Ottocento, il rinnovato impulso ai commerci sollecita due innovazioni significative: il progetto di Giuseppe Valadier per il borgo di Fiumicino (1819) e il rilancio del servizio del tiro contr’acqua da Fiumicino a Ripa Grande. segue…
SOS fiumi
> A fronte di cambiamenti climatici sempre più impattanti, i fiumi recuperano un ruolo e una centralità nei processi di adattamento e mitigazione che l'umanità è ora costretta a intraprendere. segue...
La Storia lungo il Tevere
> Il recupero della memoria dei luoghi e delle persone che hanno vissuto in compagnia del fiume millenario. segue...
Qua la zampa
>Le Terre della Regina invocano la partecipazione di tutti noi. Condividi le tue visioni, seguici nelle giornate in calendario, aiutaci a portare avanti i progetti di recupero e diffusione della futura Regina Ciclovia Fluviale, il percorso verde lungo il Tevere (ma prima leggi le raccomandazioni a terra e in acqua).
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(Affaccio su Ponte Vittorio Emanuele II, dalla collezione fotosferica Mappatevere360 )
“Convoca i fiumi ai suoi ordini e quando questi si presentano alla sua reggia: «Non è tempo di perdersi in lunghe esortazioni», dice. «Scatenate le vostre forze: questo è il compito assegnato. Spalancate le chiuse e, rimossi gli ostacoli, lanciate le vostre correnti a briglia sciolta». Così ordina e quelli, al ritorno, sciolgono le sorgenti, che a corsa sfrenata rovinano giù verso il mare.
Lui, Nettuno, col suo tridente percuote la terra: quella trema, e le scosse aprono la via all’acqua. Straripando i fiumi erompono in aperta campagna e travolgono seminati, piante, greggi, uomini, tetti e con le immagini sacre i santuari. Anche se qualche casa rimane, reggendo a tanta furia senza crollare, l’acqua superandola ne sommerge la cima e le torri spariscono strette nella morsa dei gorghi. Ormai non c’è più divario tra mare e terra: tutto è mare, un mare privo d’approdi.
Uno conquista un colle, l’altro sul banco di un guscio a becco rema sui luoghi dove prima arava; quello naviga sui seminati o sul tetto di una villa sommersa, questo afferra un pesce in cima a un olmo. A caso l’àncora si pianta nel verde dei prati oppure la carena sfiora la vigna subito sotto, e dove prima le snelle caprette brucavano l’erba, ora col loro corpo informe giacciono le foche.” (“Le metamorfosi”, Ovidio)