sommario
L’area del VecchioFaro di Fiumicino è minacciata dal progetto di un porto crocieristico. Quanto si è disposti a sacrificare un territorio? Chi pagherà i costi reali?
Tra terra e mare
Il seguente testo è estratto dalla pubblicazione “Tra terra e mare, storia ed ecologia di un litorale a rischio“, a cura di Scienza Radicata. segue…
Grandi opere piccoli orizzonti
La grande opera in progetto del nuovo porto di Fiumicino per superyacht con annesso scalo crocieristico, viene dipinta e valutata da compagnia, governo e amministrazioni come conveniente per territorio, imprese, lavoratorə, portatrice di crescita, sviluppo economico e pure sostenibilità ambientale. La scelta politica di fatto è già avvenuta, per cui tutto alla fine dovrà in qualche modo risultare fattibile e ambientalmente compatibile.
Individuiamo un grande rischio di sottostima delle problematiche ambientali, che di fatto è già in atto dato i recenti sviluppi governativi e le recenti delibere, perché la letteratura scientifica è chiara: non esistono soluzioni viabili e concrete in cui convivono grandi porti, crociere, salute degli ecosistemi e salute umana. Come verranno affrontati i problemi strutturali? Come potrà essere considerato viabile un progetto di tale impatto e portata, se non pesando in maniera spropositata la dimensione economica senza alcun criterio di redistribuzione?
Se si inserisse una clausola che preveda la multinazionale paghi i costi ambientali e sulla salute, il progetto rimarrebbe ancora appetibile? Chi si farà carico dei costi economici e degli impatti sulla salute umana? Gli abitanti di sicuro, eppure non hanno voce in capitolo, e se ce l’hanno vengono imbrogliati, o peggio, ingolositi da quelli che risulteranno ricatti non solo economici.
Chi decide quale sia il destino di un’intera area in cui dovrebbe esserci una riserva naturale? La perdita di habitat causa perdita di quelli che vengono definiti “servizi ecosistemici” o “contributi della natura alle persone”. Questi benefici che le piante e gli animali svolgono ogni giorno senza che ce ne rendiamo conto, nel caso delle zone umide mediterranee sono: la regolazione dei fenomeni idrogeologici, la depurazione delle acque, il controllo dell’erosione, la tutela della biodiversità e l’assorbimento di anidride carbonica. Un ecosistema naturale è insostituibile proprio perché è un organismo adattato su una scala di tempo che non è comparabile con quella di una grande opera umana.
Nessuno parla della perdita di bellezza, unicità e valore culturale di un luogo come Isola Sacra, che moltə chiamiamo casa, ma chi si prenderà cura di questo? L’unica grande opera è la difesa del territorio.
Ecosistemi alla foce
Aria
Il litorale romano è uno dei luoghi con la qualità dell’aria peggiore di tutto il Lazio per un insieme di fattori (la viabilità stradale, il traffico, la presenza dell’aeroporto, i porti già esistenti, gli impianti di trattamento dei rifiuti).
Tutti i parametri dell’aria sono fuori dalle linee guida OMS che stabiliscono livelli massimi accettabili per la salute umana e nello specifico, NO2, tra i principali inquinanti dal settore crocieristico, è oltre la soglia stabilita anche dalla più permissiva normativa italiana. In generale, se si seguissero le linee guida OMS, non sarebbe più possibile legalmente aspettare ulteriormente per varare un piano regionale di riduzione delle emissioni inquinanti in atmosfera che guardi al settore dei trasporti e della logistica.
Questo dovrebbe porre già di per sé un limite ad ulteriori emissioni, anzi, dovrebbe essere l’informazione che accompagna politiche di riduzione dell’inquinamento e non nuovi progetti di “sviluppo” e grandi opere.
La soluzione proposta per Fiumicino è collegare le navi da crociera a una fonte di energia elettrica a terra mentre sono ormeggiate in porto, anziché far funzionare i loro motori interni. Come si produce questa energia elettrica? La proposta è produrla con dei pannelli fotovoltaici. Ci vorrebbero più di 11 ettari di pannelli fotovoltaici, praticamente tutta l’area edificabile del porto, solo per coprire il fabbisogno energetico di due navi da crociera spente, escludendo tutte le altre imbarcazioni.
Acqua
In nessun altro ambiente come quello costiero, gli equilibri ambientali sono stati stravolti dalle attività umane: bonifiche, sviluppo urbanistico, insediamenti industriali, reti di trasporto e porti, infrastrutture turistiche.
Cosa succede se il nastro trasportatore dei sedimenti dalle montagne, lungo i fiumi, fino alle spiagge, si interrompe? L’impatto dell’animale umano sulle coste è stato così elevato da alterare irrimediabilmente questo equilibrio e per questo più di un terzo delle spiagge italiane è in erosione.
La costruzione di un braccio di cemento lungo un chilometro di una linea di costa ha un pessimo impatto ecologico oltre che estetico, ma genera anche una problematica per i costruttori: modifica le correnti e con esse la quantità di sedimenti che si fermano lungo la costa. Questo problema è presente in tutti i porti, tuttavia la vicinanza con la foce del Tevere, l’orientamento e la conformazione costiera di Isola Sacra rende particolarmente rilevante il problema dell’insabbiamento del golfo.
Chiunque abiti la costa di Fiumicino vi dirà che quell’area è sottoposta ad una forte sedimentazione, il braccio di cemento armato non ha fatto altro che peggiorare la situazione, creando la situazione perfetta per la formazione di una nuova spiaggia più che di un porto crocieristico.
I gestori del porto dovranno fare i conti con quantità considerevoli di sabbia da smaltire per mantenere il porto attivo, dato che Il fondale dovrà essere profondo almeno 12,5 m.1 Il problema è che la “sabbia” in questione include tutti i prodotti di scarto del sistema portuale, quindi per legge prima di essere smaltita deve ricevere una valutazione ecotossicologica e chimica. A seguito delle analisi si decide se può essere usata come cemento, gettata in mare, o addirittura essere smaltita in discarica seguendo procedure apposite.
La differenza di prezzo tra queste due pratiche è considerevole. Si parla di 11€/metro cubo per un’espulsione in mare contro i 271€/mc per uno smaltimento in discarica.
Oltre i costi, l’insabbiamento dei porti è una problematica grave per la gestione dell’area, una nave che si incaglia può generare costi ambientali ed economici difficilmente quantificabili e a lungo termine, vedi caso Concordia all’isola del Giglio.
Il dragaggio dei porti è una pratica molto spesso poco trasparente, vista la facilità con cui si possono eludere i controlli. Chi si accorge di un’idrovora che aspira la sabbia in un porto di notte e la porta al cementificio più vicino? Alla pratica poco trasparente se ne aggiunge una ancora peggiore e alla luce del sole: l’utilizzo della sabbia dragata per il ripascimento di altre spiagge. Inutile dire che se la sabbia è contaminata si va a diffondere la contaminazione in nuove aree, frequentate dalla comunità.
Terra
La Direttiva Habitat dell’Unione Europea protegge una serie di specie e di habitat che hanno rilevanza per la conservazione della biodiversità a livello europeo. Lo scopo di questa direttiva è contribuire a salvaguardare la biodiversità tramite la conservazione degli habitat naturali nel territorio europeo degli stati membri al quale si applica il trattato. Le misure adottate a norma della direttiva sono pensate per assicurare il mantenimento o il ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, degli habitat naturali e delle specie di fauna e flora selvatiche di interesse comunitario. La direttiva istituisce così la rete «Natura 2000», la più ampia rete ecologica a livello globale. Quando in un’area si rinvengono habitat o specie di direttiva è possibile istituire un Sito di Importanza Comunitaria (SIC) che tutela queste emergenze. L’area della palude salata di Fiumicino è stata dichiarata SIC (IT6030024 Isola Sacra) perché la maggior parte della vegetazione che abbiamo descritto rappresenta habitat di direttiva. La Direttiva Habitat è improntata a un principio leggermente diverso rispetto a un’area protetta tradizionale. Non sono infatti istituite misure di protezione specifiche ma si è stabilito che gli interventi sono possibili solo e soltanto se aumentano la qualità o l’estensione degli habitat.
Anzi, un intervento, per esempio di restauro ambientale, che migliorasse gli habitat sarebbe addirittura auspicato. I risultati della mappatura partecipata che mostriamo di seguito lo dimostrano.
Se il porto venisse realizzato, è virtualmente certo che sia per estensione territoriale che per impatto ambientale, esso andrà a ridurre l’espansione dell’habitat e la sua qualità, entrando quindi in conflitto con la normativa europea della Direttiva Habitat. Il cambio di superficie che il progetto comporterà andrà ad influire negativamente sull’ecosistema che dovrebbe essere protetto secondo la legislazione europea. Ad oggi, non c’è traccia di questa discussione, e di fatto l’ecosistema è come se non esistesse. Esiste un evidente conflitto, per lo spazio e per le risorse in primo luogo, tra la proposta di progetto del porto di Fiumicino e la conservazione degli habitat della palude di Fiumara Grande. Questo, senza avere un’idea di cosa esso rappresenti, dato che ad oggi, il presente è uno dei pochissimi studi documentati sull’area.
In quale senso mai si potrà intendere il progetto del porto di Fiumicino come “di interesse generale” se andrà ad insistere in un’area dove entra in conflitto con un sito di “interesse comunitario” definito dalla legislazione europea? Come mai sarà possibile definire una tale opera ecologicamente compatibile e viabile se spazialmente si andrà di fatto a sovrapporre ad un ecosistema a cui, nel dibattito e nelle delibere, non viene neanche riconosciuta l’esistenza? Questo oltre ad essere assurdo e irricevibile da un punto di vista scientifico, è un’offesa all’intelligenza comune e alla popolazione locale.
Approfondimenti
Atti di fede
Sempre più comunità vivono oggi sotto il ricatto di una Grande Opera incombente. Che sia un ponte su un braccio di mare, un treno ad alta velocità, una centrale nucleare, un gasdotto, un rigassificatore o un porto commerciale. Poco importa. Le Grandi Opere sono l’infrastruttura tramite cui un sistema economico si concretizza riconfigurando tutto: il territorio, i rapporti economici, l’apporto energetico, il lavoro, i legami tra le persone. Grandi Opere che sono dichiarate necessarie, quindi inevitabili. Chi ne beneficerà non sarà la comunità locale ma una più grande collettività, portatrice di un indefinito interesse “pubblico”, che non può permettersi il primitivo ostruzionismo di abitanti miopi nei confronti degli evidenti vantaggi che l’infrastruttura porterà. La narrazione egemonica della necessità e dell’interesse strategico ha uno scopo evidente: smontare e impedire qualsiasi opposizione all’opera. “Not in my back yard”, non nel mio cortile, è la riduzione di ogni discorso di opposizione a quello che viene stigmatizzato come l’egoismo di una piccola comunità ignorante, incapace di comprendere quale sia il bene di tuttə e quale sia il fondamento tecnico, scientifico, legale ed economico dellə espertə del settore. Questa retorica ha lo scopo di normalizzare e spegnere sul nascere qualsiasi visione altra del mondo, anche se si avvale di strumenti tecnici e politici validi, mettendo in discussione e verificando con spirito critico i dati certificati dallə espertə. E così si procede per atti di fede, liberandosi delle voci fuori dal coro che si avvalgono della stessa obiettività che la governance di turno pretende di avere e di cui idolatra l’unico linguaggio.
Purtroppo, come nel caso della nuova diga foranea di Genova, del porto turistico di Fiumicino e di tanti altri rinnovi di porti o nuove infrastrutture, le proposte non vengono dalle comunità, non possono venire dai territori ma sono progetti “strategici” imposti dall’alto che si basano su stime di crescita cucite su misura per rafforzare le narrazioni delle istituzioni locali. Valutare un progetto come strategico è un modo per gestirlo come un’emergenza, il che implica valutazioni ambientali rapide, nessun calcolo degli impatti complessivi, stime approssimative dei monitoraggi e dei lavori di manutenzione.
Potremmo elencare ogni progetto di adattamento di un porto o di nuovo porto e il risultato sarebbe lo stesso: si tratta di estrattivismo. Il territorio è asservito agli interessi privati con la connivenza pubblica, la popolazione nella migliore delle ipotesi si ribella, nella maggior parte dei casi non si rende neanche conto dei miliardi che vengono investiti in opere pensate, progettate e messe in atto malamente. Ma essendo una battaglia ormai del tutto ideologica, non importa se è un buon progetto, l’importante è non arrestare il progresso, sostituire i legami territoriali con promesse, favorire economie centralizzate in poche mani e togliere indipendenza alle piccole economie locali. Questo è il momento per capire insieme ai territori sacrificati a questo mercato come immaginare e costruire un sistema diverso che giustifichi opere ovviamente diverse. Purtroppo piovono miliardi per rafforzare questo sistema, ma forse occorrerebbe iniziare a presentare il conto rispetto ai costi reali di queste opere in termini sociali, economici e ambientali.
Ambienti costieri
Le coste del nostro pianeta si estendono per 1,5 milioni di km, di cui circa il 31% sono spiagge sabbiose. Gli ecosistemi dunali che compongono le coste si possono trovare dalle regioni polari ai tropici arrivando a comprendere un’immensa gamma di climi, biomi e habitat. Rachel Carson, scienziata, tra le più importanti antesignane dei movimenti ambientalisti moderni, scrive nel 1955:
“Quando scendiamo verso la linea di costa, entriamo in un mondo antico come le stesse terre emerse: il luogo primordiale dell’incontro tra gli elementi della terra e dell’acqua, un luogo di compromesso, conflitto ed eterno mutamento.”
Questa descrizione, oltre a farci sentire la meraviglia dell’incontro con la natura sulla riva della spiaggia, ci dà anche la misura di quanto questo ambiente sia difficile da abitare e da comprendere. E’ una zona di confine in cui terra e mare si incontrano e si alternano ciclicamente con le maree: la costa è prima possedimento della terra e poi del mare e di nuovo della terra, in uno dei cicli naturali che la luna guida dal cielo. Gli animali e le piante che lo abitano devono essere in grado di adattarsi a rapidi cambiamenti e a condizioni che potrebbero essere definite estreme.
Tuttavia, in questa difficoltà, la vita si insinua con una potenza inaudita in tutti gli anfratti e gli angoli che riesce a scovare. Quando si osserva una costa, che sia sabbiosa o rocciosa, a prima vista, tutte le forme di vita che abitano questi sistemi sembrano nascondersi. Ma se ci dedichiamo con la passione dell’osservatore e con quella curiosità che è viva e spontanea in bambini e bambine, ecco lì che sotto la sabbia scoviamo un regno vasto e brulicante di vita: molluschi nelle loro conchiglie, granchi che si puliscono gli occhi dalla sabbia, vermi che smuovono, ossigenano e fertilizzano il terreno come i lombrichi fanno nella terra. La vita in questi ambienti si incrosta, si difende, si fa minuscola e si nasconde, ma se osserviamo bene, prove visibili della presenza di esseri viventi, piante e animali, sono ovunque. In questo mondo di confine, mare e terra si scambiano animali, piante, risorse e strategie di vita. Su questa linea di costa l’animale umano incontra il mare e da terrestre si fa un po’ marino, nuota, pesca, escogita ogni strategia per trovare quella vita nascosta sotto il blu, si tuffa dai bilancioni sospesi e si riconnette alla sua natura selvaggia e ancestrale.
Per le condizioni fortemente stressanti e peculiari dell’ambiente costiero, tutta la vita che vediamo sulle coste dimostra di aver affrontato con successo la realtà del proprio ambiente, ha sviluppato strategie per sopravvivere alle condizioni, fisiche, ambientali e microclimatiche e ha creato una rete di miliardi di sottili relazioni e connessioni fra gli esseri viventi: piante, animali e animali umani. Il ruolo degli umani in queste relazioni ha acquisito sempre più peso, portando a forti squilibri che alterano la perfetta rete che si era creata. Gli oceani e i mari sono il cuore e i polmoni del pianeta che vive, controllano in clima grazie alla circolazione delle correnti e producono la maggior parte dell’ossigeno che respiriamo grazie a delle minuscole piante che li abitano: il fitoplancton, alghe praticamente invisibili responsabili della metà dell’ossigeno totale prodotto dagli organismi vegetali della Terra.
Guardando una distesa di sabbia davanti al mare entriamo in contatto con un processo antichissimo di coevoluzione fra terra e acqua, osservando le dune siamo investiti da un senso di antichità. Noi pensiamo alle rocce come qualcosa di indistruttibile, in realtà sappiamo che quando queste sono aggredite dalla pioggia, dal ghiaccio e dalle onde che si rifrangono, anche quelle più dure alla fine si sgretolano e si consumano. Cosa rimane? La sabbia. Un granello di sabbia, come prodotto finale del lavoro combinato di onde e vento, è pressoché indistruttibile, è il nucleo minerale della roccia. Rachel Carson scrive:
“La sabbia è una sostanza splendida, misteriosa e infinitamente mutevole; ogni granello di una spiaggia è il risultato di processi che risalgono agli oscuri esordi della vita o della Terra stessa”.
Il tempo in cui si sono formati questi paesaggi è fuori dalla concezione temporale che appartiene all’animale umano: è un tempo lento, un tempo geologico, che non ha fretta di andare dietro al profitto immediato, alla crescita ad ogni costo. Ma da dove arriva tutta questa sabbia? Dall’erosione e dal deterioramento delle rocce che le piogge e i fiumi trasportano fino al mare.
Tutti i sedimenti che si formano, a partire dalla cima delle montagne, iniziano, prima o poi, il loro lento cammino verso il mare. Una volta consegnati all’acqua salata comincia un nuovo processo di distribuzione, separazione, trasporto. Il moto ondoso e, secondariamente, quello delle correnti sono gli agenti principali che plasmano le spiagge. Il rifornimento di materiale detritico può dipendere dalla vicinanza della spiaggia a fiumi e corsi d’acqua che trasportano sabbie, fanghi e detriti alluvionali di varia origine e granulometria. Nuove ondate di sedimenti possono arrivare anche dall’erosione di tratti di costa contigui a quello in esame, portati dal vento o dalla natura omogeneizzatrice e regolarizzatrice del moto ondoso, queste forze tendono a smussare le sporgenze litoranee, prelevando il materiale in eccesso che viene poi ridepositato ai lati della sporgenza stessa.
Il sovrasfruttamento delle risorse nell’ottica di un sistema che mira alla continua crescita e alla continua produzione, essendo in totale disallineamento con i cicli e tempi della natura, ha sfasato gli ecosistemi e tutti gli esseri viventi che li abitano, noi compresi. Nello specifico, i fattori di minaccia degli ecosistemi costieri sono: l’inquinamento delle acque costiere, la crescente urbanizzazione, gli incendi e, principalmente, lo sfruttamento. Questo si declina come sfruttamento turistico, agricolo, edilizio, industriale (industrie termoelettriche), estrattivo (cave di sabbia) e soprattutto commerciale con le attività portuali. Nel prossimo futuro, si prevede che i cambiamenti climatici influenzeranno ulteriormente gli ecosistemi delle spiagge, per cui diventerà necessario per molti paesi europei promuovere programmi di conservazione e ripristino delle dune costiere.
Turismo crocieristico
Nel 2022 e ancor di più nel 2023 il turismo crocieristico italiano ha ripreso a correre: i passeggeri accolti nel 2022 sono stati 9,3 milioni, durante il 2023 si supereranno i 12 milioni. Il 23% del traffico totale è stato registrato a Civitavecchia, primo porto nazionale, seguono Napoli, Genova, Palermo, La Spezia e Messina.
Il porto di Civitavecchia è, insieme a quello di Barcellona, il centro del turismo mediterraneo. Le ricadute occupazionali e dell’indotto non hanno rispettato però tanto le attese quanto le promesse, generando malcontento nella cittadina laziale, contratti precari, sistema turistico “mordi e fuggi” e pesanti ricadute ambientali.
La turistificazione di massa mostra oggi tutti i suoi limiti. Il modello crociera propone piccoli paesi galleggianti e autosufficienti che approdano solo per dirigersi in brevissimo tempo nelle città d’arte o in altre mete turistiche e il loro impatto raramente resta nei luoghi che pagano i costi ambientali delle meganavi. Le crociere rappresentano solo l’1% del settore navale e sono responsabili del 25% dell’inquinamento del settore.
In casi specifici il costo ambientale è stato stimato come sette volte superiore al beneficio economico locale derivante dal settore crocieristico.
- Come tutte le navi, le navi da crociera sono rivestite di biocidi (vernici antivegetative) fortemente dannosi per tutti gli ecosistemi acquatici e non.
- Gli scarichi delle acque di sentina, ricchi di idrocarburi o gli impatti della cantieristica sono gli stessi di navi di grandi dimensioni. Si stima che globalmente l’inquinamento da idrocarburi dovuto alle operazioni ordinarie nel settore navale sia tre volte tanto quello attribuito agli sversamenti accidentali.
- A livello di rifiuti la nave da crociera è una fabbrica di materiali di scarto. I rifiuti solidi sono trattati spesso in condizioni non idonee per la loro ingente quantità. Le ceneri derivanti dalla combustione di carburante si disperdono in mare con generazione di micro e nano-plastiche e produzione di rifiuti galleggianti. Le acque di scarto, grigie e nere, nonché le acque usate per la stabilizzazione della nave (ballast water) sono vettori di composti tossici, metalli pesanti, microrganismi patogeni e resistenti agli antibiotici, specie alloctone, nutrienti in eccesso, batteri fecali, farmaci, filtri UV.
- Le navi da crociera trasportano vettori di malattie da tutto il mondo (come le zanzare) e genericamente sono un bioreattore/incubatore mobile per microrganismi patogeni, specie invasive e alloctone. I patogeni umani, virus e microrganismi, abbondano e vengono incubati e selezionati in ambiente ristretto e promiscuo: convivono con gli ospiti e si spostano anche di migliaia di chilometri. Poi vengono introdotti nella nuova “meta turistica” alla successiva tappa, contagiano il posto nuovo e si spostano nuovamente. Sono condizioni uniche per la diffusione di malattie.
- Le navi da crociera producono continuativo e alto rumore che influisce sulla qualità della vita di umani e animali, oltre ad apportare inquinamento luminoso.
- Causano onde anomale e risospensione dei sedimenti. Possono impattare ed impattano con specie marine, anche protette, come i cetacei. L’alto numero di persone e tecnologie presenti sulla nave richiede un consumo molto alto delle risorse locali, ad esempio l’acqua, in una classica logica estrattivista.
- Il turismo da crociera, considerato nel suo complesso, ha un impatto socio-economico negativo per gli abitanti del territorio: causa stress, scarsi guadagni a livello economico, innumerevoli problemi di trasporto, sovraffollamento, traffico, oltre a danneggiare l’ambiente e la salute.
Tra gli impatti ambientali generati dall’industria crocieristica uno dei più preoccupanti è quello dell’inquinamento atmosferico. Le navi mastodontiche in questione emettono diversi gas inquinanti che possono influire sulla salute umana e ambientale a breve, medio e lungo termine. La qualità e la quantità delle emissioni sono tali da cambiare radicalmente, in peggio, la vita e la salute di tutti gli abitanti e gli ecosistemi presenti in loco e nelle vicinanze.
Una nave da crociera ha un’impronta di carbonio (quantità di CO2 emessa) superiore a quella di 12.000 auto. Ciò è dovuto alle sue grandi dimensioni, al tipo di motore, alla velocità di marcia, alla generazione di elettricità e al tipo di carburante. Infatti queste navi utilizzano carburante economico e ricco di zolfo, in cui sono presenti 1.000 volte più inquinanti che nei del carburanti utilizzati dalle automobili. Questi combustibili, inoltre, utilizzano 2.000 volte più solfuro delle auto diesel, il che significa che le emissioni di una nave crocieristica corrispondono a quelle di 350.000 automobili.
Anche quando è “ferma” in porto, una nave da crociera è sempre accesa ed emette gas di scarico. Nella proposta di progetto del porto di Fiumicino, sono previste per tutto l’anno più navi ferme contemporaneamente e delle dimensioni più grandi che oggi l’industria mette in campo: si parla di mega navi da seimila passeggeri più duemila di equipaggio. Quindi si possono immaginare le conseguenze di un porto di tale dimensione. Si è già visto in altri contesti dove le navi crocieristiche operano abitualmente: i dati raccolti a Civitavecchia, Napoli, Barcellona (solo per citarne alcuni) parlano chiaro a riguardo.
Scienza radicata
“Esiste un muro tra la comunità scientifica e il resto della popolazione. Da un lato viene generata una grande quantità di conoscenza che rimane spesso alla portata di pochə, dall’altro c’è la percezione della figura dello scienziato come entità dotata di superiorità morale e totalmente distaccata dalla realtà quotidiana. Ci posizioniamo come gruppo di persone cresciute nelle università che formano i tecnici, gli esperti con cui condividiamo formazione e strumenti, ma con un’idea diversa di quale sia l’utilità di questo sapere per la collettività di cui facciamo parte. Il sapere scientifico non può che essere uno strumento tra i tanti che servono per la resistenza, ed è in questa direzione che va il nostro contributo“. segue…
Extra
Il porto della Discordia
Il progetto del Porto della Concordia ha lasciato l’area del vecchio faro in uno stato di abbandono e degrado, privando i cittadini di una parte delle spiagge e dei luoghi del litorale a loro più cari. Le opere realizzate hanno modificato irreversibilmente il paesaggio alla foce del Tevere e i concessionari sono stati coinvolti in un’inchiesta giudiziaria. segue…
Mediterraneo hotspot climatico
Il Mediterraneo è un centro eccezionale di biodiversità, ma anche un’area popolata da più di 450 milioni di abitanti e soggetta a intense attività antropiche. In questo contesto gli ambienti delle coste sabbiose sono sottoposti a molteplici forme di pressione antropica, associate soprattutto allo sviluppo turistico. segue…
Bilancione occupato
Il progetto del Porto della Concordia minaccia di far scomparire gran parte della spiaggia di Fiumicino sud e devastare l’area del vecchio faro. Impaludato in una inchiesta giudiziaria, ha lasciato dietro di sé un cantiere fantasma. Ettari di mare e spiagge recintate e un degrado generale che rendeva inaccessibile un’area di grande valore storico culturale, oltre ad un luogo fisico ed emozionale significativo per gli abitanti di Fiumicino. segue…
Finisterre Tiberine
> la trilogia Gattesca dedicata alle Finisterre Tiberine, termine della futura Regina Ciclovia Tiberina. Riserva del Litorale, Foce, VecchioFaro, Idroscalo, ... quanti tesori intrappolati nella maledizione della LunaNera? Aiutateci a raccogliere memorie e visioni perché questi luoghi tornino a vivere! segue...
VecchioFaro
> Il VecchioFaro di Fiumicino da decenni giace abbandonato alla foce del Tevere. Aiutateci a raccontarlo, perchè il guardiano del mare torni a brillare! segue...
Via al Mare
> La “Via al Mare” è il tratto terminale della futura Ciclovia del Tevere. Inizia dove termina la ciclabile ufficiale, sotto il ponte G.R.A. di Mezzocammino, e prosegue lungo la riva destra del fiume fino al VecchioFaro di Fiumicino, davanti all'OceanoMare.
segue...
Qua la zampa
>Le Terre della Regina invocano la partecipazione di tutti noi. Condividi le tue visioni, seguici nelle giornate in calendario, aiutaci a portare avanti i progetti di recupero e diffusione della futura Regina Ciclovia Fluviale, il percorso verde lungo il Tevere (ma prima leggi le raccomandazioni a terra e in acqua).
Per rimanere aggiornato, partecipare, proporre….. iscriviti alla newsletter mensile , ai social o dai una occhiata alle ReginaNews con tutte le imprese gattesche. Non lasciarci soli!
(il VecchioFaro, dalla collezione fotosferica Mappatevere360 )