La relazione tra i romani e il Tevere: un vivace scenario rinnovato al passare dei secoli e delle generazioni, fino a quando, con la costruzione dei muraglioni a fine ‘800, è improvvisamente calato il sipario.
sommario
Romani e Tevere
All’interno dell’Operazione Patronus e delle visioni tiberine, una pagina dedicata alla relazione tra i romani e il Tevere: un vivace scenario rinnovato al passare dei secoli e delle generazioni, fino a quando, con la costruzione dei muraglioni a fine ‘800, e’ improvvisamente calato il sipario.
Sono state si’ scongiurate nuove e disastrose inondazioni, ma con esse e’ scivolato via il millenario legame tra Roma e il suo Tevere.
“Le vedute di Gaspare Vanvitelli colgono il Tevere dai ponti, o ne lasciano intuire lo scorrimento ai piedi della vasta distesa di campi, pascoli e paludi di Prati di Castello, soggetta a frequenti allagamenti. Qui, nella stagione estiva era consuetudine prendere il bagno nella vigna di proprietà dei fratelli Giuseppe e Pietro Paolo Gasperoni dirimpetto al porto di Ripetta: e ogni anno venivano erette delle capanne all’uopo in virtù di una privativa concessa in cambio di un canone annuo di due libbre di cera da pagarsi alla camera dei Tribunali nella vigilia di SS. Pietro e Paolo, che suscitava la profonda costernazione del rettore del Collegio clementino sulla opposta riva nei riguardi di una pratica assolutamente immonda per la buona educazione e tranquillità dei giovani religiosi e dei nobili e civili convittori.” (“Il Tevere, infrastruttura storica di Roma”, Anna Laura Palazzo, Ecowebtown)
Il fiume, soggetto fluido in continua mutazione, nel corso del tempo è stato dall’uomo associato a nomi differenti. Il primo forse era “Albula”, legato alla città di Alba, dall’aggettivo Albus “fiume dalle acque bianche” o forse dall’origine “Alp” montagna. Poi Rumon, Serra e Tarentum. Quindi “Thybris”, in memoria di Tebro, re dei Veienti, o Tiberino, nono re di Alba, mitico sovrano dal corpo da gigante, forse ucciso proprio sulle rive del fiume. Nella mitologia, il fiume rappresentava il “pater Tiberinus”, venerato nel santuario presente sull’Isola Tiberina e festeggiato l’8 dicembre e il 7 giugno dalla corporazione dei pescatori del Tevere. Nella poesia il fiume fu colorato di “biondo”, con le sue acque bianche mischiate al giallo della sabbia.
“nel mezzo, il Tevere,
con amena corrente,
a rapidi mulinelli,
biondo di molta sabbia,
prorompe in mare”
Eneide VII, 30-32
Gara di tuffi
A testaccio, la selezione degli atleti per i mondiali di Atene 1906
Fotoracconto
Indietro nel tempo
Romolo e Remo
Seconno er fatto storico romano,
come ce riccontava la maestra,
Romolo e Remo, dentro a ‘na canestra,
vennero giù pe’r fiume, da lontano.
Er vento poi li spinze su in ripiano,
in mezzo a quattro piante de ginestra,
e lì successe er sarvataggio extra,
rimasto pe li secoli un arcano.
‘Na lupa li sarvò, così li pupi,
succhiorno er latte suo come a ‘na balia
e crebbero co l’indole de lupi.
De fatti da li tempi ormai lontani
li discennenti succhieno l’Italia
e quer ch’è buffo è che nun sò romani.
Trilussa
Regina Acquarum
“A Roma l’acqua è stata da sempre uno degli elementi più importanti, il legame è indissolubile sin dalla sua fondazione, la cui storia è strettamente connessa al Tevere. Infatti, secondo la leggenda, le acque del Tevere salvarono Romolo e Remo conducendoli placidamente verso la lupa e nella sua valle si sviluppò il primo nucleo originario della città. Il fiume e le sue acque, venerati come divinità (Pater Tiberinus) furono sufficienti a dissetare per oltre quattro secoli una città in continua espansione.
[…] Tale abbondanza di acqua valse a Roma l’epiteto di Regina aquarum, ovvero regina delle acque.
Durante tutto il Medioevo, dopo l’assedio dei Goti (476 d.C.) che tagliarono gli acquedotti in modo da assetare la città, l’esigua popolazione rimasta tornò ad approvvigionarsi all’acqua del Tevere.
I cosiddetti acquari o acquarioli, prelevavano l’acqua all’altezza di Ponte Milvio filtrandola e riempendo barili e coppelle, la caricavano su asini o muli e la portavano in giro per la città o a domicilio, vendendola.
L’acqua del Tevere, a differenza di quel che potremmo pensare oggi, era ritenuta buonissima e salubre. Testimonianza illustre quella di quando Papa Clemente VII Medici si recò solennemente a Marsiglia nel 1533 dal Duca d’Orleans, portando con sé una quantità d’acqua del Tevere che potesse bastargli fino al suo ritorno, per non essere costretto a berne altra peggiore.”
(tratto da Neapolisroma)
“Erano immagini scaturite da una macchina che finiva per mostrare – e con molta precisione – sia quello che interessava al fotografo, i suoi originali intenti, ma anche quello che finiva nell’inquadratura a dispetto dei suoi desideri.
Può succedere che a volte sia interessante quello che accade ai bordi piuttosto che al centro di alcune di queste fotografie. Siamo attratti da ciò che è sfuggito al controllo del fotografo.”
(dal “Progetto argini“, Conversazione di Francesca Fabiani con Vittore Fossati)
(Canottieri sul Tevere nel 1890, Lungotevere Prati, in alta definizione su RomaIeriOggi)
“In città, un denso tessuto edilizio occultava il Tevere a chi non ne avesse un contatto quotidiano e di necessità, risiedendo in prossimità o praticando mestieri ad esso legati: erano detti fiumaroli i barcaioli, ma anche chi nuotava o pescava nelle sue acque. Per estensione questo termine ha finito col designare anche chi praticava sport acquatici, a partire dai canottieri dei circoli storici della Roma post-unitaria e dagli intrepidi tuffatori di capodanno, sino ai frequentatori delle sponde per bagnarsi o rilassarsi al sole.
Nella città dei papi, erano molte le concessioni e i privilegi accordati per consuetudine secolare a famiglie di traghettatori, molitori, pescatori che con i loro ordigni sbarravano il passo alle imbarcazioni di piccolo cabotaggio; ma anche varie forme di uso regolate dal buon senso – i tintori erano soliti disporre i tessuti ad asciugare sui tratti ancora liberi delle rive presso Santa Lucia della Tinta su via Monte Brianzo, importante arteria che innervava il cuore della città – e infine abusi come lo sversamento di macerie e rifiuti. Operatori portuali, facchini, carrettieri presidiavano i terminali di Ripa Grande e Ripetta, sotto gli occhi dei negozianti ripali. Oltre a Ripetta, tre scali per legna e fascine provenienti dall’entroterra erano dislocati rispettivamente a monte di Piazza del Popolo, a Borgo, e infine a Santa Lucia della Tinta, dove i mercanti che si contendevano la lucrosa attività prendevano in affitto dei magazzini – legnare – per la vendita al dettaglio. (“Il Tevere, infrastruttura storica di Roma”, Anna Laura Palazzo, Ecowebtown)
Risalita contr’acqua
Nel primo Ottocento, il rinnovato impulso ai commerci sollecita due innovazioni significative: il progetto di Giuseppe Valadier per il borgo di Fiumicino (1819) e il rilancio del servizio del tiro contr’acqua da Fiumicino a Ripa Grande. segue…
Piene Tiberine
> Roma resta in balia della complessa idrologia che confluisce nel Tevere: ben 42 corsi d’acqua, e di questi 20 fiumi e torrenti come il Chiascio, il Nestore, il Nera, il Paglia e l’Aniene, ognuno dei quali riceve altri affluenti. Sono 235 i chilometri sui 405 dell’intero Tevere a rischio allagamento, compreso l’attraversamento della capitale. segue...
Fiumaroli
Amicizia dimenticata
“Non ci si rende conto del senso del Tevere nella storia di Roma se non si richiama alla mente, e si mantiene desta nella coscienza, la memoria del dramma ricorrente delle inondazioni: evento non inatteso dai Romani, per il suo accadere almeno una volta l’anno, vissuto con una sorta di familiarità e partecipazione al limite tra il festoso e il tragico, in quanto portatore di una invasione d’acqua – materia vitale per la città – ma sovrabbondante, fino a raggiungere una paurosa potenza: una sorta di tsunami urbano.
Accolto come una eventualità non priva forse, al fondo della memoria, di un richiamo all’esondazione originaria su cui galleggiò la cesta con i due gemelli neonati accolti dalla lupa. Rito di rinascita, quindi, e nel suo ripetersi periodico, annuncio di nuova vita.” (Mario Manieri Elia, “La città murata, in Roma, dall’acqua alla pietra”, Carocci Editore, 2009)
Fin dalle origini della città, il dialogo appassionato con il fiume ha offerto ai romani un multiforme teatro di commerci e svaghi, ozi e professioni. Il lento macinare dei mulini, il continuo viavai delle merci, gli schiamazzi dei bagnanti, lo scorrere operoso dei battelli, animavano lo specchio tiberino da mattina a sera, suggellando la relazione tra pietra e acqua, vicoli e ripe, uomini e riflessi.
Un vivace scenario rinnovato al passare dei secoli e delle generazioni, fino a quando, con la costruzione dei muraglioni a fine ‘800, e’ improvvisamente calato il sipario. Sono state si’ scongiurate nuove e disastrose inondazioni, ma con esse e’ scivolato via il millenario legame tra Roma e il suo Tevere.
“Viviamo in un luogo, ma abitiamo in una memoria” (J.Saramago)
“Oggi il Tevere appare in qualche modo separato ed estraneo alla città. Allora era diverso. La città, nel suo fondo più popolare e antico di civiltà, ritrovava nel fiume come l’incanto di una consuetudine immemorabile ed, ahimè, perduta. Era il popolo non la borghesia, a frequentarne le rive d’estate. Acque che sono state amate per millenni.” (da “Intensa vita sportiva sulle rive del Tevere”, minuto 1.26)
Il popolo tiberino
“C’è la Roma-di-Sopra e c’è la Roma-di-Sotto. Quella di Sopra, tutti la conoscono (o almeno credono), compresi i turisti giapponesi e i pellegrini giubilari. Quella di Sotto è il livello del Tevere, ove gli argini sono montagne; ove nascono gracili fantasiose boscaglie di platani giovanissimi e di acacie tremolanti fra una piena e l’altra; ove regna un fascinoso silenzio, sorprendente a così poca distanza dal fracasso nevrotico del traffico urbano: il caos frenetico di là Sopra, da quaggiù lo si avverte tutt’al più come un grazioso ronzio di alveari remoti. E quaggiù alligna una categoria speciale di romani, del tutto diversi dal resto della popolazione: sono i «fiumaroli», gli innamorati del Tevere.
Un tempo – immediato dopoguerra – il fiume era l’unica risorsa balneare della città perché il nero arenile di Ostia era disseminato di mine anti-uomo tedesche; e i fiumaroli di allora, rari e gelosi, videro con stizza affluire sulle sacre sponde una massa indiscriminata di cattivi pescatori, pessimi barcaioli, nuotatori scadenti.
Nacque così la altezzosa discriminante fra le élite dei vecchi esperti e passionali e la folla incompetente. E nel gergo dei fiumaroli sorse un termine nuovo: il «gallinaro»: quel recinto di pali delimitanti l’area sicura intorno ai celebri stabilimenti di allora: Tulli, Er Ciriola, Tofini, i Polverini (Dopolavoro Postelegrafonici), Er Panza, l’Isola der Zibbibbo.
Nel gallinaro potevano avventurarsi tutti: vecchietti esitanti, donne cautissime, impiegati podagrosi, ragazzini che facevano i Sandokan in mezzo metro d’acqua… E questa marmaglia diguazzante come galline cascate in una roggia, era squadrata con disprezzo dai veri fiumaroli a distanza, immobili come fachiri a prendere la loro scientifica «tintarella».
Uno di questi, frequentatore dell’Isola der Zibbibbo (sotto ponte Risorgimento, a monte, ma non era un’isola, solo una striscia di sponda), era il pittore Laforèt: vecchio taciturno, cotto dal sole, grinzuto, fanatico del fiume. Ne beveva l’acqua dichiarandola diuretica; un chiodo arrugginito di vecchia barca gli ferì un piede, e lui si curò spalmando la piaga con la terra di un formicaio rivierasco; si immergeva in pieno inverno nella corrente gelata giurando che solo così si può arrivare a 120 anni.
Un altro santone locale era l’anziano Annibale; romano di antico stampo, analfabeta, baffoni bianchi «alla Stalin», era un abilissimo e delicatissimo manovratore di quei battelli piatti che il gergo del fiume chiamava «battane» (oggi quasi del tutto scomparse, al pari dei gallinari), tanto faticose per gli inesperti; ed era assistito, strano a dirsi, dal bagnino Renzo che nutriva pel fiume un immenso terrore e non si bagnava se non sorretto da due enormi zucche. «Vaia, che sei da gallinaro pure te!», gli gridava Annibale, ma non disperava di farne in futuro un fìumarolo, sia pure di seconda mano. [……]” (Paolo Pardo)
Alvaro, classe 1944
Alvaro, classe 1944, romano de Campo de’ Fiori, a 14 anni frequentava i bagni sotto Castel Sant’Angelo. Salutava la madre e andava a fare i tuffi dai piloni. Era finita la guerra e i soldi per arrivare fino al mare non ce n’erano. Poveri ma belli, ci si preparava il “fagotto” per un pranzo in riva al fiume. Allo stabilimento der Ciriola si affittavano le ”mutandine” (trovarle della misura giusta non era facile) e poi giù in acqua, a fare a gara chi nuotava più velocemente fino all’altra sponda. Due o tre volte a settimana veniva anche Pasolini con i suoi libri da studiare. Poi il boom economico e la gente che si sposta alle spiagge di Ostia e Ladispoli. Anche Alvaro con sua moglie, laggiù fino al mare. Ora che è vedovo è tornato al suo fiume, il sorriso che rimanda agli anni della gioventù. Lo potete incontrare la mattina che prende il sole sdraiato in banchina, poco distante dai ricordi di settant’anni fa.
Nonno Carlo
Fino alla meta’ del ‘900 il fiume era un punto di incontro. Si organizzavano gare di nuoto da un ponte all’altro, anche controcorrente, tuffi dal ponte, frequentazione degli stabilimenti balneari lungo le sponde, soprattutto “Il Ciriola”.
I frequentatori abituali, esperti nuotatori, si prodigavano spesso nel salvare i bagnanti in difficoltà e recuperare i corpi degli annegati. Il fiume era condiviso con uno smisurato amore, un ritrovo tra amici. Loro, i “fiumaroli”.
Nonno Carlo, fiumarolo appassionato, si salvo’ la vita durante il primo conflitto mondiale proprio grazie alla sua grande conoscenza del Tevere. Dopo la rotta di Caporetto, l’esercito italiano arretrò di circa 200 km attestandosi con le ultime forze lungo le sponde del Piave. Nonno, che non sopportava le prepotenze, un giorno assistette alla scena di un capitano che per un futile motivo stava offendendo e picchiando un soldato. Nonno prese le difese del poveretto e sferrò un pugno al capitano. A quei tempi non si scherzava: un atto di insubordinazione, specialmente sulla linea del fronte, veniva punito con la pena di morte per fucilazione. La Corte Marziale emise proprio questo verdetto.
Nel frattempo, su un isolotto nel Piave, un nido di mitragliatrice austriaca stava creando molti problemi alla prima linea. Il comando cercava volontari che potessero snidare questo punto strategico, ma nessuno si presentò. Nonno, che nel frattempo era in prigione in attesa che la sentenza venisse eseguita, venuto a sapere di questa richiesta si fece convocare dal comando: “ascoltate, io tanto devo morire, mi avete condannato, preferisco morire in azione”.
Il comando accettò la proposta offrendogli eventuali altri volontari, ma lui rifiutò qualsiasi aiuto. La notte seguente si preparò e si calò nelle acque del Piave. La mattina dopo, con grande meraviglia e ammirazione dei commilitoni e del comando, rientrò con tre prigionieri austriaci senza uccidere nessuno, dopo aver distrutto la postazione gettandola in acqua.
Il comando ringraziò e, per ricompensa, tolse la sentenza di morte ma senza alcun elogio, tanto che gli fu semplicemente ordinato di rientrare in prima linea. Si salvò la vita, ma dopo alcune settimane fu colpito ad una mano e fu congedato (era la fine della guerra).
Non potè più svolgere il suo lavoro di incisore, restauratore e cesellatore e dopo alcuni anni gli venne riconosciuta una pensioncina di guerra che lui strappò davanti ad un gerarca fascista in disprezzo all’elemosina che aveva ricevuto… e qui altri guai. Si dovette difendere dalle squadracce fascisti costruendosi un pugno di ferro.
Morì a 33 anni di polmonite nel gennaio del ’31, dopo aver salvato un tentato suicida, lasciando nella disperazione una moglie e quattro figli, tra cui mio padre Francesco.
Ristori sul Tevere
(testo di integrale sul post originale di F.Zucconi Boeri)
“La storia del Tevere è imponente, tanto da mettere in soggezione chi la legge. Ma ci sono storielle, piccole memorie, tanto sconosciute quanto curiose, che invece ci riavvicinano a questo corso d’acqua tante volte ingiustamente temuto e vituperato. Gli appassionati lo sanno, i “fiumaroli” sanno un sacco di cose, ma se le raccontano tra di loro, e “loro” sono sempre di meno. Così “fiume”, come lo chiamiamo tra di noi, resta per la maggioranza un posto malsano, pericoloso, infido, sconosciuto. Eppure, ogni volta che se parla, sono in molti ad ascoltare ed appassionarsi. […]
Una volta, prima che i lungotevere diventassero autostrade e il fiume era un luogo di svago, oltre che di sport, questi ristori erano numerosi, dalle modeste “incannucciate”- piccoli pergolati a carattere temporaneo e stagionale nei pressi delle rive , spesso degli autentici “buiaccari”, per dirla alla romana – ai più importanti, veri e propri locali su terraferma, sempre rigorosamente non lontani dagli argini. Alcuni, i più famosi, sopravvissuti fino ai nostri giorni, sia pure sotto mutate spoglie, più eleganti, testimoni di un tempo in cui erano ritrovi chiassosi e informali degli amanti del Tevere : l’Antico Bottaro a passeggiata di Ripetta, Pallotta a Ponte Milvio, Giggetto er Pescatore all’Acqua Acetosa, Angelino ai Due Ponti, lo stesso Cuccurucù, oggi ancora sul greto a Via Capoprati, a valle di Ponte Duca d’Aosta, per citare i più conosciuti. La maggior parte, luoghi ricchi di storia popolare, è però andata perduta nel tempo, cancellata da opere idrauliche e stradali, e dal mutare dei costumi. […]
Infine, c’erano i localini più veraci, quelli che stavano proprio “dentro fiume”, allestiti su barconi galleggianti, certamente i più pittoreschi insieme alle incannucciate. Erano regno esclusivo dei fiumaroli, canottieri , nuotatori, pescatori. Alcuni sopravvissuti fino a tempi recenti, ma ormai arresi alla moda che li trasforma e li omologa, inevitabilmente tramutati in locali adattati ad una clientela che ci capita di passaggio, alla ricerca di un fiume che fa da sfondo, niente di più, un comprimario del paesaggio. […]
La memoria di oggi è dedicata al più famoso tra i” barconi-ristorante” di antica tradizione, l’ultimo a cedere, lo strenuo galleggiante della famiglia Tulli, presente sul Tevere per generazioni, autentica pietra miliare della storia fiumarola. Non si erano mai arresi, il glorioso natante era sempre rimasto a fare la guardia alla tradizione resistendo imperterrito alle crisi, alle mode, al passare del tempo, autentico e semplice. Soltanto la furia degli elementi è riuscita a sconfiggerli nel 2008 quando, strappati gli ormeggi dall’onda di piena e trascinato a valle, il vecchio barcone concluse la sua nobile vita contro un pilone di Ponte Cavour, finendo completamente distrutto dall’impeto della corrente. Una lunga agonia alla quale i fiumaroli assistettero affranti e impotenti. […]”
Da quanno che vado co la bicicletta a Roma.So sessant’anni e piùche nun ne sento una bona.Annavo Co mi padre su e giù per Tevere bionnoCome me divertivo c’avevo sempre n’soriso a tutto tondo.Nun ce preoccupevamo, de buche ce n’ereno pocheEr traffico se riduceva ar rumore che facevano du rote.A la fine de sto tour de Roma io e papà ritornevamo a casa stanchiSe mettevamo co mamma e li fratelli amagna e beve tutti quanti.E ner mentre che papà co lo stommico de fero finiva la pajataio contento a tutti je dicevoGranne la bicicletta è chi la n’ventata.(Roberto Valentini)
Spiagge romane
“Sin dal Cinquecento ogni ripa del fiume Tevere era luogo di balneazione, inizialmente per entrambi i sessi, poi nel Settecento, furono emanati degli editti papali, con pene pecuniarie e corporali, che consentirono solo agli uomini, vestiti, di potersi bagnare nel fiume nelle spiagge che prevedevano cabine. […] Lo svago era goliardico, senza preoccupazioni di distinzione sociale. Gare di nuoto e tuffi, partite a carte e mora, grandi mangiate e bevute. Tutto per prendere la “tintarella” e fare scherzi ai malcapitati. […] Un esempio per tutti il film diretto da Dino Risi, nel 1957 “Poveri, ma belli” […] Un film che ben racconta il vissuto sociale sul fiume, in finale del suo tempo, perché negli anni Sessanta, a causa della malattia di Weil, la leptospirosi, sarà vietata la balneazione. Il rapporto con il fiume cambierà definitivamente, il legame secolare si interromperà. […]” (Patrizia Cacciani)
(Audrey Hepburn sul set di “Vacanze romane” sotto ponte dell’Angelo, nel 1953)
Per approfondire: Dai “Fiumaroli” al Ciriola su TrastevereApp
Spiagge al Flaminio
Un nome che ancora aleggia nei ricordi dei vecchi del Tevere è la spiaggia dei Polverini. E’ sulla riva sinistra, dopo Ponte Milvio, ed è caratterizzata da una spiaggia di sabbia bianca e finissima.
La spiaggia dei Polverini inizia ad essere frequentata dai romani nel 1895, quando i cantieri dei Muraglioni del Tevere stanno distruggendo tutte le spiagge che esistevano a Roma (basti pensare alla mitica “Renella” a Trastevere), e vive fino agli anni Trenta, quando concessioni date dal demanio a iniziative pubbliche e private occupano stabilmente le rive e sfrattano fiumaroli e bagnanti. segue…
Dal fiume al mare
Nella Roma del dopoguerra il bagno nel Tevere era un surrogato della vacanza al mare per i più poveri.
“Nel corso della prima metà del ‘900 le spiagge e i luoghi di villeggiatura in montagna si popolano, in estate, di famiglie della media borghesia; ma anche per operai, impiegati, lavoratori a basso reddito, tutti coloro che non possono permettersi il lusso di una vacanza completa, ci sono i treni organizzati dai “Dopolavoro” che consentono di trascorrere un “sabato fascista” al mare o ci sono i campi estivi per i più giovani.
Il fenomeno diventa di massa dopo la seconda guerra mondiale; la rinascita postbellica, con i primi segni di benessere e la disponibilità di mezzi di trasporto, diffonde l’abitudine alla vacanza estiva e avvicina gli italiani al mare; e il cinema sempre attento ai fenomeni sociali scopre questo nuovo set e vi ambienta le proprie commedie. Il mare diventa il luogo simbolo della vacanza, e la vacanza è, per definizione, un momento di svago e di spensieratezza, ancor di più se è la conquista di un popolo che sta uscendo a fatica dalle traversie e dalle privazioni della guerra.
Con questo spirito il cinema affronta il tema delle vacanze estive al mare: le gite domenicali delle famiglie, gli incontri, gli amori, ma anche le avventure dei play boy nostrani, i vizi, le infedeltà; l’atmosfera di inusitata libertà di questo luogo spinge i personaggi ad uscire dagli abituali comportamenti di città e a cercare nuove esperienze; ma questa libertà, spesso, mette in luce gli aspetti più repressi e quindi quelli peggiori dell’uomo. E’ ‘Il boom economico’.”
(tratto da http://www.fotogrammidicarta.it/album_estate/estate_pagina02.htm )
Ladispoli, Fregene e Ostia
(testo integrale di Paolo B Nocchi e foto da Memorie di Roma)
Ladispoli fu il primo nuovo centro nato come villaggio per le vacanza al mare dei romani quando in Europa, all’inizio dell’800 stendersi sulla spiaggia era tornato possibile dopo secoli di paura dei pericolosi sbarchi provenienti dal mare. Si riscopriva dopo più di mille anni il piacere degli “ozi al mare” degli imperatori e nobili romani. Si godono i benefici dell´azione curativa di tutto il clima marino, dell’acqua e delle sabbiature. La realizzazione della ferrovia Roma- Civitavecchia nel 1859 favorisce lo sviluppo dei nuovi e vecchi insediamenti.
I romani abbandoneranno il fiume, poiché non avranno più bisogno di recarsi nella Campania o in Toscana. Al Pirgo, spiaggia di civitata vecchia, o a Vicarello, sul lago di Braccìano, per cercare il refrigerio di un bagno durante la calura snervante delta stagione estiva. Nel 1861 Vengono costruiti due tra i primi Stabilimenti della costa tirrenica, il Dispari e il Falena, che diventano il riferimento preferito della nobiltà romana per la nuova moda delle vacanze estive. La facilità del collegamento ferroviario con Roma la porterà, comunque, a preferirla ad altre località balneari più lontane.
All’inizio del ‘900 si tentò di valorizzare la nuova stazione balneare con vari articoli di giornali e il messaggio di “ LADISPOLI MARINA DI ROMA” scritto sulle cartoline spedite dai villeggianti. Sorgono tanti stabilimenti balneari e alberghi che ne facevano la spiaggia più importante dei romani. Il carattere popolare, e con il tempo multietnico, sarà il segno distintivo della città.
Tuffi
Dall’origine mitologica del rito ai giorni nostri: sacrificio e iniziazione, tra culti dedicati alla dea Madre e slanci di capodanno. Dietro un tuffo cosa si nasconde? segue…
BigJump
> Un tuffo liberatorio nelle braccia del Tevere, per recuperare la connessione con gli ecosistemi fluviali, fonte preziosa di acqua potabile e biodiversità, alleati indispensabili contro i cambiamenti climatici. segue...
Discese del Tevere oggi
Recuperare la relazione con il fiume seguendo i volontari della Discesa Internazionale del Tevere in canoa, sup, gommone, packraft, dragonboat, bici (d’acqua e non), a piedi….. segue…
Videoracconti
> Il set dei cortometraggi per raccontare la magia del fiume. Bici, gommone, canoa, packraft, unicorno, .... Quanti modi di vivere il Tevere e i suoi territori? La collezione completa è disponibile sul canale gattesco dedicato segue...
Extra
Penso positivo
> Un capitolo dedicato ai progetti di riqualificazione dei fiumi. Uno stimolo a rileggere i luoghi della quotidianita’ andando oltre le brutture che avvelenano, ad elaborare e condividere uno slancio positivo. Questo e’ il contagio che ci piace. segue...
Parco Nazionale
> L’italia è prima in Europa per corsi d’acqua. Tra loro un solo fiume-mare, con Capitaneria di Porto a Fiumicino, il nostro Tiberinus, il Tevere. A quando l’istituzione del Parco Nazionale Tiberino? segue... (lago di Corbara nel parco fluviale del Tevere, quarta tappa della futura ciclovia, dalla collezione fotosferica Mappatevere360 )
Almone sacro
“L’Almone è un fiume fin dal duecento a.C. considerato sacro. Secondo una profezia contenuta nei libri sibillini, se un invasore avesse violato il territorio romano (Annibale lo aveva appena fatto valicando le Alpi con gli elefanti), l’unico modo per salvare Roma sarebbe stato trasportare la pietra nera sacra simbolo della dea Cibele dall’Anatolia (odierna Turchia) fino alla foce del fiume Almone, nel luogo in cui confluiva nel Tevere. In questo punto perciò, ogni anno nel mese di marzo, la pietra era lavata nell’ambito di solenni celebrazioni purificatorie.
L’Almone, il terzo fiume di Roma dopo il Tevere e l’Aniene, giunge nel cuore della città attraverso il parco della Caffarella.
Lo si incontra mentre scorre placido tra il verde in un piccolo alveo, dove riceve le acque altrettanto sacre della sorgente Egeria per poi attraversare l’Appia e dirigersi verso le alture della Garbatella, fino a giungere presso il Tevere di cui, fino a un secolo fa, era affluente. Il passato è d’obbligo perché le sacre acque sono oggi convogliate dentro un tunnel sotterraneo presso la chiesa del Quo Vadis, che lo conduce nelle viscere del terreno, fino a morire dentro i condotti fognari che portano le acque reflue della Garbatella verso il depuratore della Magliana. “(Claudio Colaiacomo, Roma perduta e dimenticata) il post su Facebook
Gare di nuoto
foto da www.laziowiki.org
Assassinio sul Tevere
“Un affiliato alla ‘famiglia Tiberina’ è trovato ucciso su un barcone sul Tevere. Sesta avventura del commissario Giraldi, classico intreccio di poliziesco e comicità.”
Rollup
Il rollup informativo dedicato all’amicizia dimenticata tra i romani e il fiume, esposto insieme agli altri nei PuntoGatto informativi itineranti.
Uomini e territori
> Il recupero della memoria dei luoghi e delle persone che hanno vissuto in compagnia del fiume millenario. segue...
Qua la zampa
>Le Terre della Regina invocano la partecipazione di tutti noi. Condividi le tue visioni, seguici nelle giornate in calendario, aiutaci a portare avanti i progetti di recupero e diffusione della futura Regina Ciclovia Fluviale, il percorso verde lungo il Tevere (ma prima leggi le raccomandazioni a terra e in acqua).
Per rimanere aggiornato, partecipare, proporre….. iscriviti alla newsletter mensile , ai social o dai una occhiata alle ReginaNews con tutte le imprese gattesche. Non lasciarci soli!
(sotto Ponte dell’Angelo nel Carnevale Tiberino, dalla collezione fotosferica Mappatevere360 )